Legge Pinto – Equa riparazione

Chi è stato coinvolto in un procedimento per un periodo di tempo considerato irragionevole, cioè troppo lungo, può richiedere, in base alla legge n. 89 del 24 marzo 2001 (cd. “legge Pinto”), una equa riparazione.

Consiste nel riconoscimento di una somma di denaro per ogni anno di eccessiva durata del processo ed ammonta a circa 750,00/1.500 euro, ma può aumentare fino a 2.000 euro in casi di particolare importanza (ed es. in tema di diritto di famiglia o stato delle persone, procedimenti pensionistici o penali, cause di lavoro o cause che incidano sulla vita o sulla salute) e a seconda della Corte territoriale competente.
La domanda può essere proposta a prescindere dall’esito della lite, sia che si vinca, si perda o si concili la causa davanti al giudice.
Per periodo ragionevole, solitamente si intende: 3 anni per il procedimento di primo grado, 2 anni per il secondo e un anno per la cassazione. Qualora la domanda si proponga per una causa pendente, può essere liquidata una somma in base agli anni oltrepassanti il consentito. A fine procedimento può essere avanzata una seconda istanza per i successivi.
Nella determinazione del tempo ragionevole dovrà essere valutata una serie di circostanze, come ad esempio la complessità del caso o il comportamento delle stesse parti e del giudice.
In relazione ai termini, il ricorso per equa riparazione va presentato entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il processo. Scaduti i sei mesi, la parte è considerata decaduta dal proporre il ricorso. E’ sempre proponibile, invece, in pendenza di causa.
IL PROCEDIMENTO.
II risarcimento va chiesto con ricorso alla Corte d’Appello territorialmente competente, secondo una speciale tabella, e deve essere deciso entro 4 mesi dal deposito. Va proposto nei confronti del Ministero della Giustizia, se si tratta di procedimenti del giudice ordinario, del Ministero della Difesa quanto si tratta di procedimenti del giudice militare, del Ministero delle Finanze quando si tratta di procedimenti del giudice tributario.
Nel ricorso si dovranno esporre i fatti in maniera dettagliata. In particolare, sarebbe conveniente provare la lungaggine processuale attraverso la trascrizione pedissequa dei verbali di udienza, sì da dimostrare i ritardi intercorsi tra le udienze, soprattutto quelli relativi a rinvii d’ufficio. Bisogna, inoltre, allegare elementi da cui possa desumersi la violazione dell’art. 6, par. 1, anche sotto il profilo iniziale, laddove sia trascorso un notevole lasso di tempo tra il deposito della domanda e la data effettiva della prima udienza.
Esaurita la procedura, la Corte d’Appello deposita presso la Cancelleria il decreto con il quale lo Stato Italiano viene condannato a corrispondere al ricorrente un indennizzo, oltre alle spese legali sostenute. Il decreto viene notificato, a cura del difensore, all’Avvocatura dello Stato. Il decreto che conclude il procedimento sarà motivato in forma sintetica ed immediatamente esecutivo.
Se il Ministero non provvede volontariamente al pagamento delle somme, si potrà agire esecutivamente per il recupero forzoso del proprio credito. I tempi dipendono dalla rapidità con cui le Corti d’Appello, dislocate sul territorio nazionale, provvedono alla fissazione dell’udienza ed al deposito del provvedimento conclusivo della procedura In media, dal momento della proposizione del ricorso introduttivo a quello del concreto recupero dell’indennizzo, compresa la fase esecutiva, trascorre generalmente un lasso di tempo di circa 18 mesi.
DOCUMENTI NECESSARI
Copia conforme della sentenza, se il procedimento si è concluso o il certificato di pendenza della lite, se è ancora in corso. Per poter meglio argomentare sull’eccessiva durata del processo sarebbe opportuno anche depositare gli atti introduttivi (citazione, ricorso, comparsa di costituzione e risposta, memoria difensiva, etc..), i verbali di udienza e le comparse conclusionali.
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