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Avvocato Paolo Alfano Giurisprudenza penale La Cassazione sulla pausa caffè

La Cassazione sulla pausa caffè

Tutte le pause finalizzate al recupero delle «energie psico-fisiche» fanno bene al lavoro in quanto dopo la pausa segue un «migliore espletamento del servizio». Tra le pause lavoro, però, non sono «omologabili alle finalità di ristoro» quelle fatte «per scopi familiari».

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-12-2010) 08-02-2011, n. 4509

Svolgimento del processo

1. La Corte militare di appello, con sentenza in data 23 giugno 2010, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Verona, emessa il 28 gennaio 2010 all’esito di giudizio abbreviato, ritenute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, ha ridotto a mesi due e giorni venti di reclusione militare, fermi i doppi benefici di legge, la pena di mesi quattro già inflitta a B.M., riconosciuto responsabile del delitto di violata consegna aggravata, di cui all’art. 120 c.p.m.p. e art. 47 c.p.m.p., comma 1, n. 2, perchè, nella sua qualità di “maresciallo capo CC effettivo alla stazione Carabinieri di Chiavari, comandato per un servizio perlustrativo automunito (con turno dalle ore 19:00 alle ore 01:0), nel corso dello stesso, interrompeva la vigilanza per recarsi in località distante dal territorio di competenza. In tal modo abbandonava l’itinerario di servizio e violava le ricevute e conosciute consegne. Con l’aggravante di essere militare rivestito di un grado. Fatto (OMISSIS)”. 2. La Corte d’appello ha respinto il primo motivo di gravame col quale il B. aveva lamentato il difetto di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, osservando che, pur dovendosi escludere, sulla base delle emergenze processuali, che l’imputato avesse abbandonato l’itinerario di servizio, era rimasto tuttavia provato il nucleo fondante della contestazione criminosa consistente nell’interruzione del servizio di vigilanza per assolvere ad una esigenza privata, essendosi il B. fermato, per sua stessa ammissione, presso il portone dell’abitazione della moglie separata per un tempo di circa 15 minuti, al fine di discutere sull’eventuale vendita della casa comune, e avendo, perciò, ridotto in modo significativo la misura della vigilanza dovuta, trattandosi, secondo la testuale motivazione della sentenza, “non di un fuggevole saluto serale all’ex coniuge ma della ritenuta necessità di affrontare un tema complesso, probabilmente di natura conflittuale e tale comunque da coinvolgere in misura non trascurabile, emotivamente e intellettualmente, il B.”. 3. Avverso la predetta sentenza ricorre personalmente l’imputato, deducendo tre motivi.

3.1 Con il primo motivo il ricorrente reitera la denuncia di violazione della correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, rilevando l’inosservanza e, comunque, l’erronea applicazione delle norme processuali in materia (artt. 516 – 520 c.p.p.), da parte del giudice d’appello, il quale, pur di salvare la contestazione, avrebbe in essa individuato un nucleo fondante, rimasto oscuro nel suo contenuto in fatto (concreto comportamento tenuto) e in diritto (violazione di supposte prescrizioni);

resterebbe, in ogni caso, insuperata la contraddizione tra la contestazione che postula l’abbandono dell’itinerario di servizio in violazione della consegna ricevuta, e la riconosciuta presenza della via degli Ulivi, nel Comune di Leivi, luogo di residenza della moglie dell’imputato, nell’itinerario prescritto dall’ordine di servizio.

3.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’erronea interpretazione ed applicazione, da parte del giudice d’appello, dell’art. 120 c.p.m.p., nella lettura fattane dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 263 del 2000, la quale ha chiarito che l’incriminazione della violata consegna è diretta a tutelare il servizio e non anche la disciplina militare, e il reato è quello proprio del militare comandato ad un servizio determinato cui siano assicurati i mezzi per l’esecuzione della consegna, da intendersi come determinazione tassativa e completa del comportamento da tenere senza spazi di discrezionalità da parte del destinatario dell’ordine.

L’esegesi costituzionale della norma, applicata nel caso concreto, evidenzierebbe, secondo il ricorrente, che egli si attenne rigorosamente alle prescrizioni impartitegli, rispettando itinerario e tempi indicati nell’ordine di servizio ricevuto, con la conseguenza che la Corte militare avrebbe erroneamente ravvisato nel suo comportamento gli elementi, materiale e psicologico, del delitto di violata consegna.

3.3 Con il terzo motivo il ricorrente denuncia il travisamento della prova, con conseguente mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Il giudice di merito, infatti, dopo aver qualificato il delitto di violata consegna da parte di militare di servizio come reato di pericolo e non di danno, non avrebbe spiegato perchè la breve sosta dell’imputato sulla soglia di casa della moglie separata avesse comportato la significativa riduzione della dovuta vigilanza, posto che tutte le prescrizioni contenute nell’ordine di servizio furono osservate, e considerato che, secondo costante giurisprudenza di merito, una breve sosta anche per causa non di servizio, come ad esempio quella di ristoro al bar, non integra il reato de quo.

Sulla base dei predetti motivi il B. ha chiesto, pertanto, l’annullamento della sentenza senza rinvio.

Motivi della decisione

4. Il primo motivo è infondato.

La costante giurisprudenza di questa Corte esclude la violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, qualora la condotta ritenuta in quest’ultima rilevante ai fini dell’integrazione del reato contestato, ancorchè non collimante con quella descritta nel capo di imputazione, sia stata prospettata dallo stesso imputato quale elemento a sua discolpa o per farne derivare la sua responsabilità per un reato di minore gravità (c.f.r., tra le molte, Sez. 5, n. 23288 del 26/04/2010, dep. 16/06/2010, Nista, Rv.

247761; sez. 6, n. 20118 del 26/02/2010, dep. 26/05/2010, P.G. in proc. Faccani, Rv. 247330; sez. 2, n. 11082 del 12/10/2010, dep. 28/10/2010, Fichera, Rv. 217222; sez. 6, n. 5777 del 21/02/1995, dep. 18/05/1995, Sica, Rv. 201673).

Nel caso in esame il B. ha addotto, a giustificazione del suo comportamento, la circostanza che la casa della moglie separata si trovasse lungo l’itinerario che la pattuglia avrebbe dovuto percorrere, aggiungendo che sia lui che il gregario, pur durante la censurata sosta, continuarono a vigilare attentamente il territorio.

Essendo, dunque, l’osservanza dell’itinerario prescritto nella consegna, in contrasto con la sua violazione enunciata nella contestazione criminosa, emersa dalla difesa sostenuta dallo stesso imputato, essa non può essere assunta, da sola, come elemento di diversità per denunciare la violazione del principio di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, previsto dall’art. 521 c.p.p..

5. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.

Nell’applicare al caso concreto la norma incriminatrice di cui all’art. 120 c.p.m.p., la Corte di merito non ne ha contraddetto l’interpretazione contenuta nella sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2000, la quale, nel dichiarare la non fondatezza della questione di legittimità della medesima norma, ha sottolineato, da un lato, che la “consegna” deve essere precisa, nel senso che deve determinare interamente e tassativamente il comportamento del militare di servizio, e, dall’altro, che il bene giuridico protetto è la funzionalità della prestazione (e non anche la disciplina militare), riconoscendo l’operatività del principio di offensività sia nella formulazione legislativa della norma, che persegue l’efficienza dell’attività attraverso la tassatività delle prescrizioni impartite nella consegna; sia nell’applicazione concreta della fattispecie normativa da parte del giudice, al quale spetta valutare se tutte le prescrizioni impartite siano, nei singoli casi, finalizzate al corretto svolgimento del servizio comandato.

La Corte di merito ha rilevato, nel caso in esame, più che la violazione delle singole prescrizioni accessorie, l’inosservanza della stessa consegna per l’arbitraria interruzione dell’attività di vigilanza, e ha valutato siffatta interruzione, non inferiore ad un quarto d’ora, idonea, anche per le motivazioni strettamente private che la ispirarono, a distogliere, emotivamente e intellettualmente, il militare dalla doverosa concentrazione nel servizio comandato, compiendo, pertanto, una corretta esegesi applicativa della norma penale di cui all’art. 120 c.p.m.p. al fatto contestato, con riguardo sia alla sua offensività materiale (interruzione della vigilanza benchè senza deviazione dal percorso prescritto), sia alla oggettività giuridica (compromissione del corretto espletamento del servizio), senza trascurarne l’elemento psicologico integrato dal dolo generico ovvero dalla consapevole volontà di non rispettare puntualmente la consegna avuta.

6. Le osservazioni che precedono consentono di affermare l’infondatezza anche del terzo motivo di gravame circa la pretesa omessa analisi dell’offensività, in concreto, del comportamento contestato al B., poichè la Corte di merito, con motivazione adeguata e coerente, ha ravvisato nella sosta attuata dall’imputato per scopi familiari in contesto di separazione coniugale, non omologabili alle finalità di ristoro e, in genere, di rafforzamento delle proprie energie psico-fisiche utili al migliore espletamento del servizio, secondo il non pertinente richiamo difensivo delle soste al bar per sorbire un caffè, una condotta del militare di servizio concretamente ostativa al corretto svolgimento dell’attività di vigilanza sul territorio, oggetto della consegna ricevuta, che configura, appunto, il reato contestato.

7. Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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