Azione revocatoria: animus nocendi e atto anteriore al sorgere del credito

Cassazione, Sez. III, 15 ottobre 2010, n. 21338

(Pres. Trifone – Rel. Urban)

Svolgimento del processo

Con citazione in data 28 luglio 1998 la s.p.a. Banca di Roma conveniva P.M. e S.M. avanti al Tribunale de L’Aquila deducendo di vantare un credito nei confronti della prima in virtù del saldo passivo relativo ad un rapporto di conto corrente di corrispondenza; aggiungeva che la P., con atto in data omissis, aveva venduto alla S. la nuda proprietà di alcuni immobili siti in omissis, nuda proprietà che a sua volta le era stata ceduta dal marito, Sc.An. (fratello della acquirente), che se ne era riservato l’usufrutto. Chiedeva perciò che la vendita venisse dichiarata inefficace nei propri confronti, posto che in realtà mirava a sottrarre ad essa creditrice la garanzia generica del credito.

La P., nel costituirsi in giudizio, confermava gli anzidetti rapporti di parentela ma deduceva di essersi separata dal marito nel omissis, dopo soli quattro anni di matrimonio, a causa della reiterate violenze subite dal coniuge. Spiegava, in particolare, che era stata costretta a vendere gli immobili alla cognata (senza peraltro ricevere alcun corrispettivo) proprio a causa delle minacce subite dal marito, che, dopo essersi fatto consegnare, con uno stratagemma, un assegno firmato in bianco, aveva minacciato di porlo all’incasso se non avesse prestato il consenso alla vendita. Precisava di avere ceduto alla richiesta soltanto perché la condotta minacciata dal coniuge le avrebbe procurato un danno irreparabile, posto che, all’onta del protesto, si sarebbe aggiunto anche l’impedimento a partecipare ad un imminente concorso pubblico: concludeva, perciò, aderendo alla domanda svolta dalla banca.

La S. chiedeva invece che la domanda venisse respinta, sul rilievo che il credito della banca era sorto (con la chiusura del rapporto di conto corrente, e quindi) in epoca successiva al negozio di compravendita: occorreva, quindi, che tra le parti del negozio fosse provata la dolosa preordinazione ai danni del creditore, nella specie insussistente al punto che ella non era neppure a conoscenza dell’esistenza d’un debito della cognata nei confronti dell’istituto. A maggior conferma della propria buona fede rilevava che, con il contratto di compravendita, la stessa acquirente si era accollata anche il pagamento di un mutuo, la cui garanzia ipotecaria gravava sull’immobile.

Con sentenza del 30 giugno 2002 il Tribunale de L’Aquila dichiarava la inefficacia dell’atto.

La Corte d’Appello de L’Aquila, con sentenza del 15 dicembre 2005, accoglieva l’appello proposto da S.M. e rigettava la domanda proposta dalla Banca di Roma, che condannava alle spese: rilevava cha l’istituto di credito non aveva fornito una prova appagante della dolosa preordinazione della vendita, al fine di pregiudicare la garanzia del credito vantato nei confronti della sig. P..

Propone ricorso per cassazione Capitalia s.p.a. (già Banca di Roma s.p.a.) con unico motivo.

Resiste con controricorso S.M., che ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., dell’art. 116 c.p.c., e la contraddittoria, illogica e comunque insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, avendo la banca fornito la prova della esistenza di un accordo fraudolento, sia attraverso la dichiarazione (confessoria) della stessa sig. P., sia attraverso la deposizione del teste C.C.; non solo, ma la corte territoriale aveva omesso di considerare che il contratto di conto corrente era stato stipulato oltre un anno prima la vendita e quindi la esistenza del debito nei confronti della banca era antecedente all’atto dispositivo.

Come è stato correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, il credito che ha giustificato la proposizione dell’azione revocatoria, risulta che sia sorto posteriormente all’atto di vendita impugnato, posto che la relativa pronunzia assunta dal giudice di primo grado non è stata appellata e quindi sul punto si è formato il giudicato.

Quanto alla valutazione degli elementi probatori assunti nella fase di merito sulla sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge, si deve rammentare che “in tema di azione revocatoria, quando l’atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito, ad integrare l’“animus nocendi” richiesto dall’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1, è sufficiente il mero dolo generico, e cioè la mera previsione, da parte del debitore, del pregiudizio dei creditori, e non è, quindi, necessaria la ricorrenza del dolo specifico, e cioè la consapevole volontà del debitore di pregiudicare le ragioni del creditore. Trattandosi di un atteggiamento soggettivo, tale elemento psicologico va provato dal soggetto che lo allega e può essere accertato anche mediante il ricorso a presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione”. (Cass. 7 ottobre 2008 n. 25757). Nella specie la sentenza impugnata ha dato conto, con motivazione coerente sul piano logico e del tutto conforme alle norme sostanziali e processuali che regolano la materia, della inattendibilità degli elementi probatori acquisiti, con la conseguente carenza della dimostrazione della consapevolezza della volontà di pregiudicare le ragioni della banca attrice.

Il ricorso risulta quindi infondato e merita il rigetto; segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700, di cui Euro 2.500 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.