Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-11-2010) 31-01-2011, n. 3315
S.L. ha proposto ricorso ps cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari in data 29 gennaio 2009, con cui è stata parzialmente confermata la sentenza pronunciata dal tribunale di Bari in data 23 gennaio 2007, a seguito della quale è stato condannato per il reato di rapina alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 600,00 di multa.
Il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:
a) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c), per violazione dell’art. 191 c.p.p..
Il ricorrente lamenta che per la affermazione delle sua responsabilità in ordine al reato contestato le decisione impugnata abbia fatto erroneamente leva, quasi in modo esclusivo, sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa in istruttoria utilizzando i verbali in realtà acquisiti ai sensi dell’art. 512 c.p.p., in sede dibattimentale, a seguito delle dedotta perdita di memoria da parte del teste per un grave trauma commotivo sopravvenuto. Tale attività processuale sarebbe stata disposta in contrasto con il tenore letterale della norma suindicata, in quanto il teste ha comunque presenziato all’udienza pur affermando di non ricordare nulla dell’acceduto e quindi anche dell’esito della ricognizione fotografica effettuata dinanzi all’autorità di P.G..
Censura inoltre che tale decisione, con l’acquisizione di tutte le deposizioni testimoniali rese in istruttoria dal P., sia stata adottata in assenza di documentazione medica certificativa dello stato di salute del testimone; in violazione dunque dell’art. 111 Cost., e dell’art. 431 c.p.p., e art. 512 c.p.p..
Il ricorso è infondato.
I giudici di merito hanno ritenuto di poter affermare la responsabilità del ricorrente anche in base alla dichiarazioni accusatorie rese dalle persona offesa nella fase delle indagini preliminari ed acquisite ai sensi dell’art. 512 c.p.p., stante l’impossibilità di confermarle in dibattimento a seguito della perdita della memoria in ragione di un forte trauma subito dopo essere stato vittima della rapina in questione. Deve essere evidenziato che l’affermazione di responsabilità dello S. si basa sulle dichiarazione del chiamante in correità D. P., il quale si è accusato della rapina in danno del P., descrivendone le modalità operative e chiamando in correità lo S. e il terzo complice C.. Orbene nessuna censura viene sollevata in ordine alla deposizione del D., ritenuto assolutamente credibile dai giudici di merito sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo (si veda ad es. in tema di riscontri estrinseci il riferimento all’autovettura usata, confermato dai testi A. e P.). Ciò premesso appare esente da censure logico – giuridiche il ragionamento effettuato dai giudici di primo e secondo grado in ordine all’utilizzabilità delle dichiarazioni della p.o., particolarmente rilevanti in ordine alla riferita balbuzie di uno dei rapinatori, (lo S. è affetto da tale patologia), e della stessa ricognizione fotografica anche come riscontro alle dichiarazione del chiamante in correità, ai sensi dell’art. 512 c.p.p.. Nel caso in esame, stante la documentata perdita di memoria e causa di un trauma subito a seguito dell’incidente stradale, perfettamente documentata, al contrario di quello che afferma il ricorrente, è stata fatte applicazione del principio in base al quale il concetto di impossibilità di ripetizione che l’art. 512 c.p.p., eleva a presupposto della lettura delle dichiarazioni in precedenza rese, non è ristrette alla non praticabilità materiale di reiterazione della dichiarazione medesima, che si verifica ad esempio in caso di morte o di irreperibilità accertata, ma è estensibile a tutte le ipotesi in cui una dichiarazione non può essere utilmente assunta per le peculiari condizioni del dichiarante che lo rendono non più escutibile (Cass., 25 settembre 2000, Galliera).
Ciò premesso in apparenza dunque si deducono vizi della motivazione ma, in realtà, si prospetta una valutazione delle prove diversa e più favorevole al ricorrente, ciò che non è consentito nel giudizio di legittimità; si prospettano, cioè, questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi di logica, coerente con i principi di diritto enunciati da questa Corte, come quella del provvedimento impugnato che, pertanto, supera il vaglio di legittimità. (Cass. sez. 4, 2.12.2003, Elia ed altri, 229369; SU n. 12/2000, Jakani, rv 216260), come emerge in particolare dalla dettagliata motivazione dei giudici di merito con riferimento ad elementi specifici, con il tipo di autovettura usata, il riconoscimento fotografico, la balbuzie di cui era affetto uno dei rapinatori.
Alla luce delle suesposte considerazione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., coi il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpe, nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento alla Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.